Se le parti del contratto concordano sui termini dell’accordo non e’ necessario interpretare il contratto. Anche quando una parte utilizza una terminologia diversa da quella impiegata dall’altra parte il contratto puo’ dirsi concluso se ciascuna parte intendeva la stessa cosa (si tratta del c.d. principio falsa demostratio non nocet).
Se invece i termini del contratto non sono chiari e le parti non sono d’accordo, il giudice dovrà, in primo luogo, fare riferimento al significato letterale dei singoli termini impiegati. Se la formulazione del contratto non è sufficientemente chiara, o le parti, dopo la conclusione del contratto, non sono piu’ in accordo sul significato di alcuni termini, il giudice interpreta il contratto facendo ricorso alla “teoria dell’affidamento” col fine di stabilire quella che era la reale intenzione delle parti al momento in cui l’accordo si e’ concluso. Oltre alla teoria dell’affidamento, i tribunali possono richiamare anche il fair dealing. Nel caso in cui il contratto presenti delle lacune, queste possono essere colmate da fonti di rango consuetudinario. Infine, se viene in rilievo una questione che le parti non hanno previsto nel contratto, il giudice cerca di stabilire su quali punti equi e ragionevoli le parti avrebbero negoziato.
Se l’interpretazione non riesce a superare la vaghezza del contratto, l’articolo 915 dell’ABGB stabilisce che se i contratti sono vincolanti solo per una parte, si presume che la parte obbligata abbia voluto accettare l’onere minore. Nel caso di contratti vincolanti per entrambe le parti, un’espressione poco chiara è interpretata a scapito di chi l’ha utilizzata; quindi, va tenuto presente che un linguaggio impreciso o ambiguo, sebbene spesso impiegato per dare alle parti una certa flessibilità nei loro rapporti, potrebbe alla fine influenzare negativamente la parte che redige la clausola imprecisa o ambigua.
Se il tribunale non può determinare inequivocabilmente il significato del contratto, il contratto è nullo.