Prima di illustrare i diritti dei cittadini britannici all’interno dell’area Schengen dopo la Brexit è importante chiarire la differenza tra l’Unione europea e l’area Schengen. L’Unione europea è una unione politica ed economica internazionale di cui fanno parte 27 paesi. I cittadini dell’Unione europea beneficiano della libera circolazione che comporta, tra l’altro, il diritto di entrare, stabilirsi e lavorare in ogni stato membro. Invece, l’area Schengen è stata creata per migliorare il funzionamento del mercato interno assicurando la libera circolazione delle persone (non dei lavoratori) all’interno dei paesi che fanno parte dell’area, abolendo il controllo alle frontiere interne e contemporaneamente rafforzando e armonizzando il controllo alle frontiere esterne per i cittadini dei paesi terzi, cioe’ dei cittadini dei paesi al di fuori dello spazio economico europeo (SEE). Ad oggi, rientrano nell’area Schengen i seguenti paesi: Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Islanda, Italia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Svizzera. Non fanno invece parte dell’area Schengen i seguenti stati membri dell’Unione europea: Irlanda, Romania, Bulgaria, Cipro e Croazia.
Per quanto riguarda il diritto dei cittadini britannici di entrare e stabilirsi all’interno dell’area Schengen, il 10 aprile 2019 l’Unione europea ha aggiunto il Regno Unito all’elenco dei paesi terzi i cui cittadini possono viaggiare senza visto nell’area Schengen. Dunque, anche se i cittadini britannici non hanno la libertà di circolazione come prevede il diritto dell’Unione europea, possono comunque accedere all’area Schengen e risiedere per un periodo non superiore a 90 giorni in un arco temporale di 180 giorni, senza dover richiedere il visto di breve durata (il c.d. “visto Schengen” o “visto di tipo C”). Invece, per poter risiedere nell’area Schengen per piu’ di 90 giorni in un periodo di 180 giorni, è necessario chiedere un visto a lungo termine (il c.d. “visto di tipo D”). Nel caso in cui il cittadino britannico non rispetti la regola dei 90/180 giorni e dunque soggiorni per più tempo nell’area senza aver richiesto e ottenuto un visto a lunga durata sarà considerato illegalmente presente sul territorio dell’area Schengen e soggetto a sanzioni. Non essendovi una politica comune in materia di sanzioni, queste varieranno a seconda della durata del soggiorno irregolare, dello scopo della permanenza e della legislazione del paese che accerta la violazione. In generale, possono essere applicate le seguenti sanzioni:
- Sanzioni penali o amministrative;
- Espulsione e/o divieto temporaneo di entrare nell’area Schengen;
- Impossibilità in futuro di richiedere visti o permessi di lavoro.
I cittadini britannici non hanno automaticamente il diritto a lavorare all’interno dell’area Schengen. Le esenzioni dalla richiesta di visto illustrate sopra riguardano solo il diritto ad entrare e soggiornare all’interno dell’area. Il diritto al lavoro dovrà essere verificato sulla base del quadro giuridico applicabile in ciascuna giurisdizione. Sebbene l’accordo commerciale e di cooperazione concluso tra l’Unione europea e il Regno Unito preveda un numero limitato di esenzioni dal permesso di lavoro per i visitatori d’affari di breve durata, l’accesso locale al mercato del lavoro in ciascun paese membro dell’area Schengen dovrebbe sempre essere verificato, tenendo conto delle circostanze e della natura delle attività.
Nel caso in cui il cittadino britannico deve lavorare all’interno dell’area Schengen, ad esempio se si tratta di un incarico transfrontaliero, è necessario porre in essere una serie di controlli. In primo luogo, devono essere verificati i requisiti relativi alla residenza, ad esempio passaporto britannico con almeno tre mesi di validità. Inoltre, è onere del datore di lavoro monitorare gli spostamenti da e per l’area Schengen del lavoratore, sia quelli per motivi personali che di lavoro. Dal punto di vista della protezione dei dati, i datori di lavoro devono garantire la trasparenza in merito al monitoraggio proposto, spiegando chiaramente la portata e le ragioni del controllo.