Nel caso di operazioni di private equity che coinvolgono società non quotate che svolgono attivita’ regolamentate, l’autorità di regolamentazione potrebbe dover approvare un cambio di controllo, o almeno esserne informata.
Il controllo delle fusioni nel Regno Unito è disciplinato dall’Enterprise Act 2002, come modificato dall’Enterprise and Regulatory Reform Act 2013. La Competition and Markets Authority (CMA) è il principale organismo di regolamentazione incaricato di garantire la competitivita’ dei mercati e di esaminare le operazioni di fusione e acquisizione. Il Regno Unito prevede un regime volontario, ovvero non vi è alcun obbligo di riferire gli accordi di fusione e acquisizione alla CMA. Tuttavia, se l’operazione supera le soglie pertinenti e le parti non lo notificano, la CMA può avviare indagini e dispone di ampi poteri per imporre rigorosi provvedimenti provvisori di sospensione nonché una serie di rimedi finali, tra cui, in ultima analisi, la risoluzione dell’operazione. Pertanto, laddove emergano sostanziali problemi di concorrenza in relazione ad un’acquisizione che supera le soglie giurisdizionali pertinenti, gli acquirenti di private equity dovranno ottenere l’autorizzazione di CMA prima di poter concludere l’operazione.
Inoltre, il governo del Regno Unito ha recentemente effettuato consultazioni su una serie di riforme delle norme nazionali sulla concorrenza, tra cui le soglie del regime di controllo delle fusioni. Sebbene tale regime rimanga volontario, la proposta di introduzione di una nuova base giurisdizionale, soddisfatta se una delle parti coinvolte in una transazione ha un fatturato di almeno 100 milioni di sterline prodotto nel Regno Unito e una quota di vendita di almeno il 25% nel Regno Unito – rappresenta una potenziale ed importante espansione dell’attuale regime. In particolare, è probabile che coinvolga una quota maggiore di operazioni sostenute da sponsor finanziari e di private equity, dal momento che tutte le società controllate esistenti verrebbero acquisite.
E’ previsto un regime di offerta obbligatoria ai sensi del City Code on Takeovers and Mergers. Se una persona è interessata ad azioni che conferiscono il 30 per cento o più dei diritti di voto, tale soggetto dovra’ fare un’offerta obbligatoria non inferiore al prezzo più alto pagato da quella persona durante i 12 mesi antecedenti l’annuncio dell’offerta.
Normalmente, un fondo di private equity ha piena flessibilità in materia di strategie di uscita. I fondi di private equity sono, in genere, fondi chiusi e pertanto il periodo abituale di investimento è compreso tra due e sette anni, periodo in cui realizzare il business plan della società in portafoglio e raggiungere le condizioni ottimali di uscita dal mercato.
La forma più comune di uscita è tramite una vendita all’asta ad acquirenti commerciali strategici o altri investitori istituzionali (inclusi fondi di private equity). Le OPA, offerte pubbliche d’acquisto, sono piuttosto diffuse quando le condizioni di mercato sono favorevoli per il settore in questione. Spesso, un fondo di private equity eseguirà un processo di uscita a doppio binario, che prevede sia un procedimento di vendita all’asta che un procedimento di uscita dall’OPA, al termine dei quali i venditori procedono con l’opzione che presenta la valutazione migliore (bilanciata con il rischio di esecuzione).
I venditori di private equity cercheranno sempre di ridurre al minimo la propria responsabilità in seguito alla vendita di un’attività in portafoglio, perché mirano a restituire tutti i proventi agli investitori il prima possibile, per massimizzare il rendimento di tali soggetti. Trattenere i fondi per soddisfare le passività potenziali a seguito della vendita di una società in portafoglio rappresenterebbe un limite per i rendimenti e, quindi, influenzerebbe la performance del fondo.
Gli obblighi assunti da un venditore di private equity ai sensi di un contratto di compravendita sono normalmente limitati a questioni che il venditore di private equity può essere certo non daranno origine ad alcuna responsabilità. Questi includono, tipicamente, l’obbligo di trasferire le proprie azioni (o altri titoli) senza vincoli, garanzie sulla proprietà delle azioni e sulla capacità di stipulare l’accordo, l’impegno di esercitare i propri diritti di gestire l’attività target in modo ordinario e non intraprendere determinate operazioni senza il consenso dell’acquirente, nonche’ obblighi di riservatezza. Solitamente, inoltre, i venditori di private equity non forniscono indennizzi o accordi fiscali specifici. Un venditore di private equity cerchera’, quindi, di limitare la propria responsabilita’ all’ammontare del corrispettivo ricevuto in relazione alle azioni e ad un periodo limitato di tempo.
I venditori di private equity, normalmente, non prevederanno covenants restrittive, come, ad esempio, un impegno di non concorrenza, perché è problematico limitare l’attività di un fondo di private equity che consiste nell’acquistare e vendere altre società.
È sempre più comune prevedere garanzie e assicurazioni di indennizzo su transazioni che coinvolgono venditori di private equity, per aumentare la protezione fornita dalle garanzie aziendali al 10 o 20% del corrispettivo totale.
Sara’ necessario stipulare un accordo tra l’azionista di private equity e la società quotata laddove l’azionista mantenga il 30 per cento o più della azioni della società a seguito di un’OPA. L’azionista di private equity manterrà, in genere, il diritto di nominare rappresentanti nel consiglio di amministrazione fintanto che la sua partecipazione rimane al di sopra di un livello specificato. Le UK Listing Rules prevedono che le società quotate operino in modo indipendente, senza essere influenzate dagli azionisti di maggioranza; di conseguenza, la nomina di tali amministratori è soggetta all’approvazione di azionisti indipendenti nonché degli azionisti nel loro insieme.
Agli azionisti di private equity è, in genere, vietato vendere le proprie azioni per un periodo di sei mesi a seguito di un’OPA. Dopo la scadenza del lock-up, gli azionisti di private equity, solitamente, vendono le proprie quote attraverso operazioni in blocco organizzate da una o più banche, di solito sotto forma di un bookbuild accelerato condotto nel corso di poche ore dopo la chiusura dei mercati. Poiché tutte le azioni sono quotate, la documentazione richiesta è limitata e non è necessario un prospetto o altro documento di registrazione.