La Corte Suprema di Singapore, in una recente sentenza del 2020, ha respinto l’utilizzo della dottrina delle penali (penalty doctrine) per la considerazione delle clausole di risarcimento del danno.
Il ricorso riguardava tre contratti di vendita al dettaglio di elettricità (ERA) tra un rivenditore (che offriva servizi di elettricità) ed un cliente. I contratti, stipulati nel 2012, facevano sorgere due obblighi nei confronti del cliente:
- utilizzare o pagare un determinato volume minimo di vapore; e
- garantire che il consumo di vapore aderisse a determinati livelli predefiniti.
Il cliente aveva chiesto di ridurre la quantità di vapore che era obbligato ad acquistare. Le parti avevano concordato una concessione dei termini originali, che sono stati attuati sebbene non sia stato concluso un accordo formale.
Gli ERA contenevano clausole di risarcimento dei danni. Le clausole erano legate al diritto del rivenditore, espressamente previsto dal contratto, di rescindere gli accordi in determinate situazioni, ad esempio, se il cliente si fosse rifiutato di adempiere i contratti. Il cliente aveva scritto al rivenditore, affermando che la fornitura di vapore ed elettricità sarebbe cessata. Il rivenditore ha considerato tale lettera come prova del rifiuto degli ERA e, successivamente, aveva risolto i contratti.
Il rivenditore aveva avviato un procedimento contro il cliente per violazione del contratto richiedendo un risarcimento dei danni subiti ai sensi delle clausole contrattuali contenute negli ERA o, in alternativa, un risarcimento secondo i principi di common law. Il cliente ha negato la propria responsabilità per risoluzione indebita, sostenendo di non essere vincolato dagli ERA in quanto non avevano stipulato un accordo formale contenente i termini di concessione concordati dalle parti. Il cliente sosteneva, inoltre, che le clausole di risarcimento dei danni costituivano penali inapplicabili.
In primo grado, il giudice ha ritenuto che il cliente avesse rifiutato di adempiere i contratti ma che le clausole di risarcimento dei danni contenute nei contratti non costituivano una reale stima preliminare dei danni ed erano, quindi, da considerarsi penali inapplicabili.
La Corte Suprema di Singapore ha accolto un ricorso proposto dal rivenditore e ha ritenuto che le clausole di risarcimento dei danni non fossero penali inapplicabili. La Corte ha intrapreso un esame dettagliato della giurisprudenza relativa alla liquidazione dei danni nel Regno Unito e in Australia, facendo riferimento alla decisione del caso britannico Dunlop Pneumatic Tyre Company, Limited v New Garage and Motor Company Limited [1915] AC 79. Il criterio tradizionale adottato in Dunlop è che se la disposizione relativa alla liquidazione dei danni è sproporzionata rispetto ad una reale stima preliminare dei probabili danni che la parte innocente può recuperare, allora tale disposizione non è applicabile.
Applicando Dunlop, la Corte Suprema di Singapore ha respinto sia l’espansione della dottrina delle penali da parte dell’Alta Corte australiana ai casi in cui non vi è alcuna violazione del contratto, sia la posizione del Regno Unito secondo cui le clausole di risarcimento del danno non saranno penali se sostengono un interesse legittimo. La Corte ha sostenuto che l’espansione della dottrina avrebbe comportato la riapertura delle disposizioni concordate tra le parti con conseguente e ingiustificata incursione nella libertà delle parti di contrattare.
Questa decisione ha un significato importante per la scelta della legge applicabile per le imprese che operano in Australia, Singapore e Regno Unito poiché è probabile che un maggior numero di disposizioni sul risarcimento dei danni venga interpretato dai giudici come una penale ai sensi della legge australiana o inglese.